TREDICI – E’ USCITA LA SECONDA STAGIONE : GENITORI, SIATE CURIOSI

TREDICI – E’ USCITA LA SECONDA STAGIONE : GENITORI, SIATE CURIOSI

Gli anni dell’adolescenza sono un momento di grandi potenzialità e capacità costruttive, in cui “l’intensità emotiva” si amplifica, nelle gioie (donando vitalità alle esperienze) e nei dolori (facendo emergere spesso vulnerabilità ai giudizi, crisi identitarie e senso di disorientamento) (Siegel, 2014).

 

Tredici è una serie tv prodotta da Netflix, una combinazione tra il thriller e il melodramma adolescenziale in cui si racconta la vita di un gruppo di ragazzi e in particolare di Hannah Baker, studentessa al terzo anno di un liceo di periferia americano. Hannah, dopo una serie di eventi traumatici, decide di togliersi la vita e di registrare 13 audiocassette destinate a 13 persone diverse tra cui compagni di classe, amici e personale scolastico, spiegando i motivi che l’hanno indotta a quel gesto estremo. La serie tv, adattata dall’omonimo romanzo di Jay Asher, intende raggiungere il pubblico adolescente per sensibilizzarlo riguardo a temi specifici legati al bullismo, alla violenza fisica e psicologica e all’indifferenza degli adulti rispetto a queste problematiche. La prima stagione è andata in onda su Netflix da marzo 2017 e il 18 maggio 2018 è uscita la seconda stagione.

La serie ha riscontrato un diffuso interesse mediatico, tanto che diverse scuole e associazioni di psicologi e psicoterapeuti hanno messo in evidenza quanto sia rischioso trattare temi così delicati in una serie tv destinata ad un pubblico adolescente, senza adeguati strumenti interpretativi.

I temi affrontati comprendono una vasta serie di atteggiamenti ed eventi come la violenza, il bullismo, l’esclusione e la mancanza di sostegno umano e sociale. Il tutto in una fase della vita straordinaria, ma allo stesso tempo fonte di disorientamento e confusione, quale è l’adolescenza.

Dopo aver guardato la prima stagione della serie tv e l’episodio di chiusura in cui gli attori, intervistati, forniscono al pubblico spunti di approfondimento, mi sono posta una serie di domande cui ho cercato di rispondere basandomi sulle sensazioni provate durante la visione. Inizialmente i pensieri sono stati controversi; l’obiettivo dei produttori di aiutare i ragazzi ad affrontare le difficoltà destabilizzanti dell’adolescenza, non mi ha convinta del tutto. Mi sono chiesta quanto un adolescente possa essere esposto emotivamente assistendo a scene così forti che ritraggono contesti a lui così vicini. D’altro canto penso che le questioni sollevate siano centrali nella vita dei ragazzi di oggi e che debbano essere necessariamente prese in considerazione e dibattute.

Alcuni esperti ritengono che la serie possa “romanticizzare il suicidio e non incoraggiare gli adolescenti a chiedere aiuto a familiari, educatori o psicologi”. Inoltre, sono presenti parti crude e di forte impatto scenico, difficili da rielaborare, specialmente se a vederle sono ragazzi che hanno vissuto in prima persona queste esperienze.

Mi sono quindi chiesta: “Come potrebbero reagire i giovani ragazzi? Potrebbero vedere in queste soluzioni estreme un modo per porre fine ad un disagio insostenibile? Come possiamo aiutarli a capire che non sono soli e che ci sono delle vie d’uscita alternative?”

Ho cercato di dare delle risposte a queste domande, e le opinioni che mi sento di esprimere sono molteplici: prima di tutto ritengo che i genitori debbano essere consapevoli dei contenuti di questi programmi. Anni fa le serie tv venivano trasmesse una sera a settimana su canali televisivi nazionali ed erano visibili a tutta la famiglia, adesso è possibile accedere attraverso ogni tipo di dispositivo, e per questo consiglio ai genitori di essere curiosi ed esplorare i nuovi mondi a cui i ragazzi hanno accesso. Come giustamente dice Mike Hale in un articolo pubblicato dal New York Times, solo essendo al corrente che i ragazzi possono venire a contatto con scene “sorprendentemente limpide” di violenza e di suicidio i genitori potranno capire come meglio sostenerli ed accompagnarli.

Non penso che “Tredici”, come altre serie tv, debbano essere demonizzate, ma penso che ogni famiglia, scuola o ente educativo debba aprire spazi di discussione e approfondimento su questi temi, eventualmente guardando insieme alcune parti cruciali delle puntate proposte, analizzando i contenuti con i ragazzi e prendendosi del tempo per ascoltarli.

Tutti gli adolescenti che vedono queste serie avranno bisogno di adulti che li aiutino a rielaborarla e ad articolare le proprie percezioni durante la visione di contenuti così controversi.

Per questo penso che l’uscita di “Tredici” possa essere un utile pretesto per incoraggiare i genitori ad ascoltare i ragazzi, ad offrire loro delle possibilità di dialogo, in un clima non giudicante ed accogliente, sfruttando la possibilità di confronto attraverso nuovi canali, come serie tv, canzoni ed eventi di attualità, prendendo seriamente le loro preoccupazioni ed essendo disposti ad offrire loro un sostegno.

Consiglio quindi di documentarsi sul mondo che circonda i ragazzi, leggere articoli o guardare qualche episodio, per farsi un’idea dei contenuti presentati.

In concomitanza dell’uscita della seconda stagione è stato creato un sito internet che vi consiglio di visitare: www.13reasonswhy.info. Sono presenti i riferimenti di associazioni, del telefono azzurro e del sito di “educazione civica digitale”, supportati da video che in pochi minuti cercano di affrontare e spiegare i temi toccati dalla serie e di maggior impatto per i giovani e inoltre, la National Association of School Psychologist di Bethesda, Maryland, ha pubblicato delle linee guida molto complete, per una completa visione potete cliccare qui .

Il ruolo educativo di genitori ed insegnanti sarà fondamentale se agito nella prospettiva di trasformare le difficoltà, i cambiamenti e le sfide a cui si trovano a far fronte i ragazzi in punti di forza a cui attingere per affrontare il loro viaggio nel mondo.

 

Cecilia Allasina

 

 

C

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Venerdì 26 maggio, durante la pausa pranzo, sono riuscita a ritagliarmi due ore per esplorare il Salone del Libro 2017. Incuriosita dalle complesse dinamiche emerse negli ultimi mesi riguardo alla manifestazione e dai numerosi articoli che descrivevano il successo di questa nuova edizione, mi sono precipitata per capire che cosa mi aspettasse.

Arrivo alle 12.30, svuoto lo zaino da pesi inutili e mi avventuro nel Salone.

Senza saperlo mi trovo davanti ad un’entrata laterale che mi conduce direttamente al BookStoreVillage, la grande area dedicata in particolare a bambini e giovani da 0 a 20 anni.

La mia mente mi riporta a frasi quali “queste nuove tecnologie porteranno i ragazzi a non saper più scrivere”,  “i ragazzi di oggi non sanno più comunicare” e ammetto di essere un po’ impaurita.

Tablet ovunque, monitor, pc e postazioni a misura di bambino.

Dopo un primo momento di inquietudine decido di concentrarmi sulle percezioni che quel contesto mi evoca. Mi rilasso e continuo la mia osservazione alla ricerca di spunti di riflessione.

Un’emozione.

Gruppi di bambini con magliette e cappellini colorati, sale gremite di ragazzi, scrittori e formatori concentrati a trasmettere la loro passione attraverso laboratori di ogni tipo.

Poesie che “tatuano” muri e bimbi alle prese con parafrasi per comprenderne meglio il senso.

Genitori e insegnanti che dall’alto monitorano, accompagnano.

Bimbi che sfogliano libri, leggono storie e se la ridono tra di loro, osservano immagini, si incantano.

Entro poi nella sezione “digital”, cammino circospetta, dentro di me scorrono pensieri contrastanti.

Giro l’angolo e leggo su una parete BOOK BLOG – giovani letture, abbasso gli occhi e vedo decine di ragazzi davanti a pc forniti dal Salone, alle prese con articoli che raccontano le loro storie.

Premetto che in questo periodo il mondo dello storytelling mi sta affascinando particolarmente, sto lavorando a progetti nei quali attraverso il racconto di sé, della propria storia, si aprono mondi sconfinati attraverso i quali scoprire parti sconosciute e spesso interessanti del proprio essere.

Per questo il mio occhio si incanta osservando questi ragazzi: pagine di appunti ed elenchi puntati scritti su fogli bianchi a fianco alle tastiere, chi con le cuffie nelle orecchie, chi cooperando a gruppetti di due o di tre.

Mi avvicino per leggere nei dettagli di cosa tratta il progetto BookBlog (se non lo sapete vi consiglio di dare un’occhiata qui http://bookblog.salonelibro.it/il-blog/), cerco di dare un’età ai ragazzi, li osservo  a fondo, mi sembra di intravedere quattordicenni, quindicenni, sedicenni, diciassettenni.. e come dice il regolamento del blog, solo under 18.

Entro nella sala successiva e tre studenti di liceo, vedendo i miei occhi curiosi, mi fermano chiedendo di poter illustrare il loro progetto/concorso fotografico in linea con il tema del Salone “OLTRE I CONFINI”. Chiacchiero dieci minuti con loro che mi spiegano come attraverso la fotografia hanno potuto riflettere sul tema del “confine”, io vado in brodo di giuggiole, osservo con attenzione tutti gli scatti e le fotografie in concorso e do il mio contributo, votando una foto che mi colpisce particolarmente (fatelo anche voi https://www.facebook.com/CfCavour2017/). Ringrazio questi ragazzi e li incito a fotografare (cosa che amo molto fare anche io), a sperimentarsi e divertirsi attraverso le loro passioni.

Continuo il mio giro, tra i libri tattili per bimbi piccini, illustrazioni, filastrocche e pagine colorate. Scopro il nuovo orizzonte del Thinkering: “laboratori, metodi, modi di sperimentare la scienza attraverso attività di costruzione che valorizzano la creatività, l’indagine e l’esplorazione basandosi sulle capacità e le conoscenze di ciascuno” e ascolto attenta un intervento della Polizia di Stato sul Cyberbullismo, mi addentro poi nel salone dei grandi, in cui nei miei stand di fiducia faccio strage di libri.

A questo punto, come un lampo, mi ritornano in mente le frasi citate precedentemente:

“…i ragazzi di oggi non ………, ……….”.

In un primo momento mi infastidisco, poi rifletto e decido di trasformarle: i giovani d’oggi, come i giovani di ieri, se accompagnati nel modo giusto, se coinvolti in attività che li appassionano, che li divertono, che li responsabilizzano come cittadini del Mondo e protagonisti delle loro storie, delle loro vite, impareranno e scriveranno con il cuore, smentendo il senso comune e gli allarmismi.

Scriveranno pigiando i tasti di una tastiera e non con una penna in mano, leggeranno libri su kindle o iPad e lavoreranno davanti a pc, utilizzando la tecnologia nella sua accezione positiva, come strumento per veicolare con altri canali i messaggi che ci sono stati trasmessi in secoli di ricerca culturale.

In questa prospettiva sarà sempre più utile proporre ai bambini e ai ragazzi attività in cui possano riprendere contatto con tutti e cinque i sensi, cercando di bilanciare le esperienze e sarà sempre più cruciale il ruolo degli educatori, professori e figure preparate, competenti e appassionate che accompagnino i ragazzi nel loro percorso di crescita. Infine, solo l’integrazione di diverse attività potrà fornire loro strumenti per affrontare la vita con il giusto spirito e solo credendo in loro, nelle loro potenzialità, smettendo di deresponsabilizzarsi dando la colpa ad altri, potremo costruire un futuro degno per le nuove generazioni.

 

Cecilia Allasina

C

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NARRARE PER CRESCERE

NARRARE PER CRESCERE

“non il loro contenuto immediato, non l’ideologia di cui possono essere portatrici, ma il loro modo di affrontare la realtà con occhio spregiudicato, di inventare dei punti di vista per osservare, per vedere l’invisibile...” 

Gianni Rodari

I significati e l’importanza della narrazione per i bambini

Come ho citato nell’articolo “L’utilizzo di fiabe in ambito pedagogico e terapeutico”, le fiabe possono costituire un importante mezzo per suggerire nuove modalità e affrontare creativamente le difficoltà.

Una possibile modalità di lavoro attraverso le fiabe è lo “StoryWriting”, in cui sono i bambini protagonisti narratori di storie e fiabe.

Nel momento in cui sono i piccoli a creare le storie, è più semplice che si identifichino con il loro messaggio e con il finale, più di quanto non accadrebbe con un racconto imposto da un adulto. Il bambino inoltre, creando una storia, è portato a trovare una soluzione al problema e nel momento in cui non riuscisse a trovare il modo di ottenere un risultato soddisfacente, avrà il gruppo che potrà sostenerlo con idee e energie, guidandolo verso una possibile soluzione.

La particolare combinazione di tecniche utilizzate per creare la storia può far emergere elementi molto speciali, poiché la storia vissuta dai bambini è un volo senza sforzo nel proprio mondo interiore.

A seconda degli obiettivi, si possono leggere al gruppo le storie create e prodotte, interrompendosi dopo la descrizione del problema e chiedendo di trovare insieme una soluzione.

In questo caso la forza del gruppo potrà essere fondamentale per sostenere una cooperazione e un efficace sostegno tra pari.

Inventare, raccontare e ascoltare storie serve a trasferire nei loro contenuti e nei loro personaggi il peso delle emozioni negative e a trarre dalla forza creativa gli stimoli per trovare soluzioni e  aprirsi a nuove possibilità.

La creazione di storie, può essere integrata dall’uso di immagini, disegni, oggetti, melodie e giochi.

L’utilizzo di un approccio multisensoriale, fa si che vengano stimolati non solo i centri del linguaggio, ma anche quelli visivi e cinestesici favorendo una migliore integrazione dei concetti.

La chiave del contatto è proprio cercare di andare oltre le parole per coinvolgere più modalità sensoriali nel processo che porta alla soluzione delle difficoltà.

Cecilia Allasina

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LE FIABE CHE FANNO CRESCERE

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“Le fiabe servono soprattutto alla formazione della mente: di una mente aperta in tutte le direzioni del possibile. Toccano nel bambino la molla dell’immaginazione, una molla essenziale alla formazione di un uomo completo. Perciò sono essenziali alla sua educazione.”

Gianni Rodari.

L’utilizzo di fiabe come strumento pedagogico e terapeutico

L’utilizzo delle Fiabe all’interno di laboratori e percorsi per i più piccini, è una metodologia sempre più utilizzata.

Le storie stimolano la curiosità ed espandono gli orizzonti, sono un intreccio complesso di osservazioni, apprendimenti e intuizioni e possono lasciare messaggi molto profondi.

Sono state utilizzate in tutte le epoche e in tutte le culture, per intrattenere e per trasmettere lezioni di vita e possono diventare un mezzo prezioso per aiutare il bambino ad aiutare se stesso (Thomson, 2009).

Le fiabe trasmettono messaggi, positivi, di rassicurazione e rappresentano uno strumento per contattare le emozioni. E’ interessante sottolineare come nelle fiabe siano presenti sentimenti ed emozioni di ogni genere, non solo positivi, anzi. Angosce e paure sono sempre presenti e i bambini vengono a contatto con esse. Il male è presente come parte indispensabile dello sviluppo narrativo, per poi essere trasformato e superato. La peculiarità delle fiabe in chiave moderna è proprio il LIETO FINE, per cui il fulcro dell’utilità e del potere che possono avere nel lavoro terapeutico è racchiuso nel passaggio tra male (evento da superare) e bene (evento superato).

Gli ingredienti fondamentali di una fiaba sono:

  • l’inizio: la descrizione dei personaggi
  • il cuore: le avventure in cui i protagonisti acquisiscono risorse e abilità che gli permettono di affrontare le difficoltà
  • il lieto fine: il trionfo

Le storie rappresentano la vita, comunicano valori, suggeriscono soluzioni ai problemi, coinvolgono, divertono e offrono nuove prospettive e nuovi occhi per guardare mondo. Accendono l’immaginazione e ci immergono nella fantasia, ed è proprio attraverso questi canali, immedesimandosi in personaggi fantastici, che si possono sostenere i piccoli (e non solo) ad affrontare o trasformare situazioni spiacevoli o esperienze traumatiche. Attraverso le metafore si possono ridefinire problemi, migliorare l’autostima, incoraggiare i bambini ad avere maggiore sicurezza e superare resistenze proprio perchè le avventure vengono vissute in modo soggettivo: il bambino vede il problema come qualcosa che sta succedendo ad un personaggio (altro da lui) e di conseguenza non si sente direttamente minacciato o rimproverato (Thomson, 2005).

E’ importante, come afferma Seligman, sostenere le risorse individuali di ciascun individuo. Il fuoco dell’intervento è sempre rivolto a contattare, portare alla luce e utilizzare le risorse e le energie interiori del bambino, per aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi. Non si cercherà quindi il senso e il significato delle narrazioni, interpretandole inappropriatamente, ma piuttosto si sosterrà l’immaginazione, che ha una saggezza in sé e una forza di guarigione implicita e molto profonda (M.H. Erikson).

Cecilia Allasina

 

 

 

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Come accompagnare i ragazzi nella fase adolescenziale

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Gli ultimi anni di scuola primaria e il passaggio alla scuola secondaria di primo grado rappresentano idealmente un ponte tra la fanciullezza e l’adolescenza nella piena espressione di sé.

La scuola è un ambiente di riferimento per i ragazzi e le loro famiglie. Essa si trova a svolgere non solo la funzione didattico-educativa, ma è anche luogo in cui si manifestano processi di crescita e pertanto può essere un prezioso osservatorio delle difficoltà in cui ci si imbatte in questo periodo. I rapidi cambiamenti sociali e culturali, infatti, rendono ancor più faticoso e complesso il percorso che i ragazzi svolgono per arrivare a prendere coscienza di sè, dei propri cambiamenti e delle difficoltà che possono incontrare nel raggiungimento del pieno sviluppo della propria identità. I giovani talvolta, non trovando un canale limpido e comunicativo con i propri genitori, si rivolgono a differenti figure – insegnanti, educatori, psicologi ecc.- ponendo loro interrogativi e manifestazioni sulle proprie fatiche emotive-relazionali.

La scuola, infatti, pur essendo un luogo in cui è richiesto un impegno e può comportare frustrazione e fatica, costituisce per i ragazzi un’importante occasione di socializzazione e di confronto. Si creano relazioni significative e si affrontano continue sfide. Per questo motivo è importante che la scuola faccia da “contenitore” a eventuali disagi che possono emergere nel corso della crescita. Questi, infatti, possono essere manifestati dagli alunni in differenti ambiti e situazioni, particolarmente in casi in cui in famiglia la presenza e l’ascolto degli adulti sono maggiormente carenti.

In questa delicata fascia d’età, a causa dei cambiamenti fisici e dei conseguenti sviluppi emotivi, emerge la necessità da parte dei ragazzi di acquisire una maggiore conoscenza della dimensione sessuale e relazionale che spesso pone genitori e insegnati di fronte a nuove sfide.

Durante la fase della preadolescenza i ragazzi cominciano a definire le proprie scelte personali e sociali, la sessualità emerge in maniera significativa e si strutturano maggiormente i tratti della loro personalità. Questi aspetti, insieme ad altre caratteristiche proprie dello sviluppo adolescenziale, contribuiranno allo sviluppo dell’identità (Erikson, 1963). La prospettiva bio-psico-sociale sottolinea quanto la maturazione fisica e le nuove competenze sociali acquisite richiedano nuove abilità e aprano nuove possibilità di sviluppo per il bambino.

Date queste premesse è necessario che i ragazzi vengano introdotti alla sessualità rispettando il proprio livello di sviluppo, evitando che si vengano a creare rappresentazioni distorte. La società, essendo in rapido cambiamento, li pone spesso di fronte a compiti di sviluppo precoci a causa della tecnologia sempre più sofisticata e all’uso di Internet e social network.

Essi, infatti, di fronte a un vuoto comunicativo e alla giustificata curiosità della loro età, possono cercare informazioni su Internet, imbattendosi in consigli e spiegazioni che forniscono soluzioni allettanti ma scorrette.

Molto spesso emerge una sessualizzazione precoce, la cui conseguenza può essere una devitalizzazione della sfera affettiva che può avere ripercussioni anche sul livello di apprendimento e sul grado di socializzazione tra pari. E’ necessario, quindi, stimolare nei ragazzi una graduale presa di coscienza delle caratteristiche somatiche e fisiologiche proprie dei due sessi, ma soprattutto estendere tale consapevolezza agli aspetti psico- sociali che la sessualità coinvolge, tenendo conto di come la sfera sessuale non interessi solo una funzione specifica dell’organismo, ma sia un elemento che attraversa tutti gli ambiti dell’esperienza.

Per promuovere una sana crescita psico-fisica, riteniamo quindi fondamentale interagire con le figure ritenute significative dai ragazzi, affinché creino un ambiente all’interno del quale questi ultimi si possano muovere e crescere in maniera autonoma. È compito infatti della scuola, dei genitori e degli adulti che vertono intorno all’età evolutiva accompagnare i ragazzi nel processo di crescita e nei cambiamenti che li attendono.

Cecilia Allasina
Elisabetta Vaira

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